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I diritti di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili ivi contenuti del coniuge superstite, ai sensi dell'art. 540, co. 2, cod. civ., di Giovanna Di Benedetto, Dottoranda di Ricerca in "Legal and Social Sciences", Università di Camerino.

5 novembre 2020

  1. Il casus decisus.

La vicenda in esame ha ad oggetto il ricorso proposto da P.C., innanzi alla Corte di Cassazione, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo con la quale veniva rigettata, tra l’altro, la domanda di riconoscimento di frutti civili relativamente alla quota indivisa di un fabbricato adibito a casa di abitazione familiare, pervenuta al ricorrente per successione ereditaria del di lui padre.

Il de cuius, deceduto ab intestato, ha lasciato, infatti, quali eredi ex lege del proprio patrimonio i quattro figli P.C., P.G., P.T. e P.A. e la moglie F.C. alla quale, tra l’altro, si appartengono anche i diritti di uso e di abitazione sull’immobile adibito a casa di abitazione familiare, ex art. 540, co. 2., cod. civ. 

Successivamente, il coniuge superstite F.C. ha trasferito al figlio P.G. il diritto di piena proprietà della propria quota in capo all’immobile adibito a casa di abitazione familiare ed ha consentito, altresì, l’utilizzo dell’abitazione ad altri congiunti. 

Restringendo ella, in siffatto modo, il proprio godimento della casa di abitazione ad una sola parte di questa, strettamente necessaria alla propria quotidianità e trattenendo, tuttavia, per sé i diritti di abitazione e di uso dei mobili di cui all’art. 540, co. 2, cod. civ., sull’interno immobile.

La Corte d’Appello ha riconosciuto relativamente all’intero immobile destinato a casa di abitazione familiare l’applicabilità dell’art. 540, co. 2, cod. civ., a favore del coniuge superstite al de cuius ed ha escluso che i co-eredi potessero rivendicare eventuali diritti a causa del godimento da parte del coniuge superstite non dell’intero immobile ma solo di parte di questo. 

La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto che ai diritti del coniuge superstite non siano applicabili gli artt. 1021 e 1022, cod. civ., nella parte in cui limitano il diritto di abitazione dell’immobile ed il diritto di uso dei mobili ivi contenuti al fabbisogno del titolare di suddetti diritti.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato e facendo proprie le conclusioni della Corte d’Appello.

In particolare, la Suprema Corte ha stabilito, con riferimento ai diritti che acquista il coniuge superstite sulla casa di abitazione familiare all’apertura della successione del de cuius, che “la misura dell’acquisto non è definita in relazione ai bisogni dell’abitatore, non applicandosi l’art. 1022 cod. civ. L’oggetto del diritto di abitazione del coniuge è definito invariabilmente dalla misura in cui la casa di proprietà del defunto era destinata a residenza familiare. I successori nella nuda proprietà non possono costringere il coniuge superstite a concentrare l’esercizio del suo diritto solo sulla parte della cosa sufficiente a soddisfarne lo stretto bisogno dell’alloggio”.

  1. Il diritto abitazione della casa familiare ed il diritto di uso dei mobili ivi contenuti del coniuge superstite.

Al coniuge superstite sono riservati, ai sensi dell’art. 540, co. 2, cod. civ., i diritti di abitazione dell’immobile adibito a casa familiare e di uso dei mobili ivi contenuti, quando questi siano stati di proprietà esclusiva del de cuius o in comunione con il coniuge superstite o quando in comunione con terzi. 

La ratio è individuabile nell’esigenza di tutelare l’interesse economico del coniuge superstite a disporre di un alloggio e l’interesse al mantenimento del tenore di vita e delle relazioni sociali avute in costanza di matrimonio. Questa va, altresì, individuata in un interesse spirituale e morale, consistente nella conservazione del ricordo della vita coniugale.

Un sistema legislativo che destina al coniuge superstite non solo una quota di riserva del patrimonio ereditario del de cuius ma finanche, oltre alla quota di riserva, dei diritti relativi all’immobile che è stato casa di abitazione familiare, senza dubbio, rende l’omaggio più puro e più discreto al rapporto tra partner e alla loro reciproca compartecipazione nelle vicende della vita quotidiana. E’, infatti, nella casa di abitazione familiare che è possibile vedere concretizzarsi la quotidiana società che esiste tra partner, l’assidua e vicendevole compartecipazione nei travagli e nelle gioie della vita. 

Appare preliminarmente opportuno precisare che per “casa adibita a residenza familiare” si deve intendere, ai sensi dell’art. 144, cod. civ., in via generale, il luogo ove è svolta prevalentemente la vita familiare, individuato di comune accordo tra partner, secondo le esigenze di entrambi e secondo esigenze preminenti della famiglia stessa. 

Va, altresì, precisato che il diritto d’uso in discussione ha ad oggetto i mobili che corredano la casa adibita a residenza familiare. 

La dottrina è unanimemente concorde nel ritenere che i diritti di cui all’art. 540, co. 2, cod. civ., siano gli stessi diritti previsti e disciplinati dagli artt. 1021 e ss., cod. civ., vale a dire i diritti reali di godimento su cosa altrui, salvo alcune precisazioni di cui nel prosieguo. 

Occorre, infatti, adattare la disciplina degli artt. 1021 e ss., cod. civ., ai diritti in questione, in considerazione della precipua funzione e della diversa fonte dalla quale hanno origine, che è quella successoria.

Infatti, la ratio ispiratrice delle norme successorie, che si fonda anche sull’intento di fornire protezione ad interessi etici ed affettivi, impedisce l’applicazione degli artt. 1021 e 1022, cod. civ., nella parte nella quale limitano il godimento dei predetti diritti ai soli bisogni del titolare.

Si ritiene, infatti, che il coniuge superstite non possa essere costretto, a cagione proprio del fenomeno successorio, a modificare l’esercizio dei suoi diritti sulla casa adibita a residenza familiare, in costanza di matrimonio, limitando il proprio diritto di godimento alla sola parte di questa necessaria a soddisfare il suo interesse abitativo.

Il parametro per l’individuazione dell’oggetto dei diritti in discussione non deve essere individuato, dunque, come correttamente sostenuto dalla Suprema Corte, nel mero soddisfacimento dell’interesse abitativo del coniuge superstite. Questo va, piuttosto, individuato, in ragione della fonte successoria, dalla misura in cui la casa di proprietà del defunto era destinata a residenza familiare.

Va, peraltro, segnalato come ripugni alla coscienza collettiva l’idea che il coniuge superstite, già provato dalla dipartita del compagno di una vita, possa essere depauperato degli spazi abitativi occupati, per lungo periodo di tempo, in costanza di matrimonio, per il sol fatto di essere rimasto solo. In tal senso, i diritti di abitazione ed uso, ex art. 540, co. 2, cod. civ., non tutelano solo un interesse economico-materiale del coniuge superstite ma anche un interesse spirituale e morale, consistente anche nella conservazione del ricordo della vita coniugale.